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10.3.04

[mi associo]
ho tentato di selezionare un paio di citazioni da questo articolo per poi rinviare alla fonte, come d'abitudine per questa rubrichetta, ma ogni frase mi è sembrata irrinunciabile

Un tv day alla Rai
di VITTORIO ZUCCONI

Provo a immaginare, seduto davanti a un televisore americano qui a Washington, uno spettacolo come quello che questa sera il Presidente del Consiglio italiano offrirà al pubblico italiano, esibendosi ancora una volta "in concert", con accompagnamento di basso continuo, come nella musica barocca. Non è forse l'America, il modello, il mito, il paradigma contro il quale la nuova Italia al potere sogna di essere misurata, con il suo bagaglino di anglicismi a prestito, la "governance" e la "due diligence", la "audience" e il "broadcaster", i "neo conservatives" e la "preemptive war", quell'arca della legittimità democratica tipo esportazione per la quale si può anche scendere in piazza in un "America Day", se appare bistrattata e offesa?

Tento di vedere un Presidente americano qualsiasi, dal primo che osservai sudare 30 anni or sono davanti alle telecamere, Richard Nixon, al giovane Bush passando per l'impietrito Clinton inchiodato alle sue bugie, e di confrontare i loro intervistatori televisivi, dallo scorbutico Dan Rather che nel 1973 fece perdere le staffe a Nixon fino al ringhioso Tim Russert, che il mese scorso ha imbarazzato Bush, con le burrose governanti che officiano attorno ai nostri capi di governo, spruzzando sorrisi e birignao come nubi di borotalco attorno al sederino di un neonato, ben attente a non irritare l'epidermide delicata del potente pupo.

Penso ai giornalisti americani più scopertamente schierati, come gli "anchor" della Fox Cable News di Murdoch che non fanno mistero di essere militanti repubblicani, o come Chris Matthews, star della Msnbc, che non nasconde la sua antipatia per il Presidente, se fossero chiamati a condurre un'intervista autorichiesta di due ore con Bush o con Kerry. Tutti loro, il più conservatore o il più liberal, si preparerebbero puntigliosi dossier di fatti, di citazioni e di numeri per contestare le prevedibili sparate dell'intervistato. Si sforzerebbero, con variazioni diverse, di rispettare il pubblico che li guarda e più ancora del pubblico, a rispettare loro stessi, la dignità del loro ruolo, la coscienza che quel primo emendamento della Costituzione, sulla "libertà di pensiero e di espressione", vive esclusivamente attraverso di loro, senza aspettare leggi, direttive e regolamenti.

Sento le grida di sdegno che si alzerebbero, e il danno politico che verrebbe al "solista" delle chiacchiere, se una network televisiva privata, quindi teoricamente padrona di trasmettere quello che vuole, osasse spalancare le proprie antenne a un comizio, a uno show esibizionistico, in campagna elettorale, senza altro valore che l'autopropaganda gratuita, nel caso italiano addirittura a spese dei contribuenti abbonati chiamati a pagare per gli spot. Penso alla prudenza e all'equilibrio con il quale, in questa campagna elettorale già feroce tra Bush e Kerry, le tv tagliano spietatamente e ironicamente, i comizi dell'uno e dell'altro, sapendo bene che il Presidente in carica approfitta del proprio ruolo per tenere discorsi vuoti e per lanciare slogan da candidato travestito da capo dello Stato. Il trucco c'è e si deve vedere.

Anche il giornalista radio e televisivo più mediocre e oscuro sa che dipende da lui o da lei difendere la libertà di stampa e l'equità dell'informazione. Alle loro spalle, se si arrendono, non c'è più nulla. Non spetta mai ai politicanti il dovere del "self restraint", come direbbero i nostri adoratori del simulacro americano, dell'autocontrollo. Negli Usa come in Russia o in Italia, il politico tende naturalmente alla bulimia, vuole dilagare e inondare, occupare ogni cantuccio dell'informazione, spuntare dallo sgabuzzino di ogni trasmissione a ogni ora e con qualsiasi pretesto. Spetta al giornalista contenerlo, stringere tra le mani la briglia e, quando necessario, la frusta. Non insaponare, ma pungere. Non bilanciare pilatescamente i tempi delle opposte balle, ma contestarle nel momento in cui vengono dette.
Non ci sono leggi, in questa America, che davvero obblighino una stazione tv, una rete, una network radiofonica a rispettare la "par condicio". Anche il principio del "tempo uguale" tra partiti, tra esecutivo e opposizione, è tranquillamento violato, senza grandi proteste e sanzioni, perche si sa che l'interlocutore-intervistatore è colui che deve essere non l'accompagnatore al clavicembalo del tenore in "concert", ma il controcanto e il contraddittorio.

Fanno benissimo, dunque, coloro che celebrano l'America Day, a lasciare intelligentemente generico il nome del continente, ma senza specificare quale sia la nazione. Sarà più facile riconoscere, in questa America delle tv italiane, non già gli Stati Uniti, ma più probabilmente il Guatemala.


# melba | 10:06 | 0 commenti
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